Andare per Biografie
Di Daniele Angius
Non si evocano solo fantasmi dunque, ma oggetti e situazioni “attirandoli” “traendoli fuori” (ex-vocare) dall’al di là della nostra mente.
Vale anche per la scrittura autobiografica?
cura di sé” edito da Raffaelli Cortina Editore, Duccio Demetrio definisce la parola evocare come “un invito a guardare con occhi diversi il fluire dei giorni nuovi.” La definizione ci spiazza perché getta un ponte tra due tempi apparentemente complementari: quello di ieri, lontano e cristallizzato nell’attimo di un ricordo, e quello di domani possibile e indefinito perché dipendente dalle scelte che faremo. Passato e futuro si richiamano a vicenda. La questione su come sia possibile fare dialogare queste due dimensioni richiede uno sguardo attento e intenzionale. Il primo movimento è quello di gettare uno sguardo all’indietro per riscoprire i dettagli più velati di una scena già vissuta.
Il secondo consiste nello smuovere la sabbia attorno ad una domanda fondamentale: che cosa siamo disposti a diventare?
La posta in gioco è altissima. Ha a che fare con la nostra stessa identità poiché “La nostra memoria è la nostra coerenza” ci dice Oliver Sacks.
Allora “l’andare per biografie” permette di tenere insieme i frammenti della nostra vita, ci ricompone ci ricostituisce, in un divenire costante e continuamente rinnovato. È normale che alla fine riesca rivelarci qualcosa di noi e della nostra natura.
Ma c’è dell’altro
A tutti coloro che svolgono un lavoro di cura Demetrio ricorda che le storie contengono non poche tracce per imbastire un discorso pedagogico. Non si tratta solo di utilizzare le storie di vita per conseguire fini educativi. Bensì di migliorare se stessi.
La sorpresa più straordinaria è proprio questa: più ci alleniamo a smontare e rimontare, a inventare, più acquisiremo maggiore sicurezza e saremo più allenati a entrare in contatto con le solitudini delle persone che ci stanno accanto. Impareremo ad ascoltare sempre meglio e la nostra capacità di tessere relazioni crescerà in maniera esponenziale.
Questo per un educatore significa moltissimo.
Se non fosse troppo scontato vi direi che è accaduto qualcosa di simile anche quando ho scritto la mia biografia, poi diventata una tesi di laurea e poi un romanzo dai risvolti fantascientifici. In “cosa bruciano le stelle” la protagonista quattordicenne riesce a sentirsi accolta proprio quando gli adulti sanno riconoscerle il suo legittimo bisogno di sapere come la stanno curando e come stanno curando loro stessi. Credo sia questa la chiave di lettura di tutta la faccenda: il sapersi mettere in gioco è già di per un atto di cura.
Ora non resta che chiederci che cosa rimane di noi stessi alla luce di quanto abbiamo scoperto.
Se ti è piaciuto questo argomento ti suggeriamo di leggere: "Buche nella Sabbia e passione autobiografica"
grazie Sergio
RispondiEliminaGrazie a te! Ottime riflessioni, ottimi spunti. Quando puoi scrivi qualcosa anche su Danilo Dolci? Nell’introduzione del tuo romanzo hai citato una sua poesia e vorrei saperne di più. A presto
EliminaSergio
Salve può contattarmi in pvt avrei piacere di parlarti di un progetto che ho in mente .
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